Malattie rare
Salve, sono Giuseppe Zampino, un pediatra genetista che si occupa di bambini con malattie rare, in modo particolare ...
Il mio incontro di oggi riguarda un tema che mi ha molto impegnato insieme ad altri colleghi italiani, ci tengo a fare questa brevissima introduzione perché questo metodo che io vado a proporre a partire dal tema: “Cura e presa in carico nel Servizio Sociale, che è appunto il metodo della “distribuzione del carico di cura”, è stato pensato ed attuato, sperimentato, attestato, da assistenti sociali italiani legati all'Università di Parma, in particolare da un gruppo di assistenti sociali che si è formato attraverso gli studi sulle reti sociali e ha poi pensato, appunto, a questo nuovo metodo di lavoro per il Servizio Sociale in Italia. Ci tengo a ribadire questo anche perché le cose che dirò appartengono alla mia riflessione e in questo momento vedo volti nuovi di persone che arrivano dalla Sicilia, dal Veneto o dalla Toscana e anche da Roma.
Iniziamo allora la nostra riflessione che ha per titolo: “La cura e presa in carico nel Servizio Sociale”. Il metodo della “distribuzione del carico di cura”. Inizio dando alcuni riferimenti culturali di fondo rispetto al tema della cura, cercando di fissare un po' quelli che sono i fondamenti di questo tema, del tema della cura appunto, alla fine, se vogliamo dirla in estrema sintesi: ricevere cura e dare cura sono necessità vitali, fanno parte dell'esistenza dell'uomo, di tutti gli uomini e danno forma alla nostra esperienza. L’uomo in sostanza, ha bisogno di essere, da una parte: oggetto della cura, pensiamo ai bambini per esempio, e dall'altra parte: il soggetto della cura, pensiamo ai bambini che diventano adulti e diventano persone in grado di essere responsabili di sé, delle proprie azioni, di sé nei confronti degli altri, e di se nei confronti del mondo, per esempio. Qui vedo sia la figura dell'uomo, di noi tutti uomini e donne, ma anche la figura dell'assistente sociale rispetto a questo tema dell'essere responsabile verso gli altri.
Possiamo definire poi la cura come una pratica relazionale, cioè: ogni persona si realizza nella misura in cui può dare e ricevere cura. Quindi l'essenza, il fondamento della cura consiste nel creare le condizioni per consentire all'altro che Io incontro, quello che alcuni autori chiamano in questo periodo, l'ho voluto mettere tra virgolette nelle slide che potete vedere, di “vivere una vita buona”, nel senso che, soprattutto in questo periodo storico, tutti noi sentiamo il bisogno di vivere una vita con delle relazioni soddisfacenti che guardano verso il benessere.
Come si fa a vivere una vita buona? Si fa sviluppando quella che è la capacità di avere cura di sé, per aver cura di me però devo anche tener conto di aver cura degli altri e del mondo che mi sta attorno. Questa è una brevissima introduzione sul tema della cura e della responsabilità della cura che qualcuno dice che grava sulla sulla nostra professione, e l'ho voluta fare come primo passaggio del nostro incontro perché ritengo che sia fondamentale questo tema della responsabilità, poi lo svilupperemo pian piano nel corso della riflessione.
Passo invece adesso ad un tema, diciamo così, “classico” del Servizio Sociale, che è: La presa in carico. Cercheremo di differenziare la presa in carico per prestazioni dalla presa in carico congiunta. Possiamo definire la presa in carico come una strumentazione per valutare la domanda che mi viene portata, qual'è l'obiettivo che voglio introdurre rispetto alla presa in carico? La presa in carico può portarmi alla mobilitazione delle risorse delle reti primarie, io intendo per reti primarie, come tutti sappiamo: la famiglia; gli amici; i colleghi di lavoro; i compagni di scuola: i vicini di casa; quindi, parliamo della presa in carico per mobilitare le risorse che già sono presenti nelle reti, questo vedremo che è un filo rosso importante per la nostra riflessione.
Dove ci porterà questa presa in carico? Questa presa in carico ci porterà verso una progettazione condivisa, una progettazione che non nasce soltanto nei nostri uffici, nella nostra equipe insieme ai colleghi che collaborano con noi, ma insieme anche alle persone che sono soggetto e oggetto del carico della cura, se io sono responsabile della cura dei miei figli per esempio, devo poter avere il diritto di interfacciarmi con l'operatore assistente sociale per poter dire anche la mia, e non soltanto aspettarmi dalle risposte. La presa in carico conduce infine al poi al monitoraggio e alla valutazione finale del mio intervento.
Qui c'è un contesto della presa in carico molto più vasto di quello che noi siamo abituati a considerare, quindi più ampio, più complesso, che riguarda il rapporto tra operatore e persona che porta un problema, una difficoltà, richiede quindi un approccio relazionale ai problemi, cioè che tenga conto delle relazioni di me operatore, della persona che ho davanti, e della sua famiglia e che abbia uno sguardo verso la persona come essere umano in grado di affrontare le situazioni complesse della vita, e che mi porta questa sua complessità, questa sua fatica.
Dall'altra parte, il contesto relazionale presuppone un accompagnamento della rete sociale da parte dell'assistente sociale, io vedo l'assistente sociale come un professionista, io dico sempre ai miei allievi: “un professionista non da scrivania”, non state mai alla scrivania se possibile, ma circolate nelle reti, circolate nell'ambiente di vita delle persone, questo direi che è una strategia molto importante nel nostro lavoro ma che ormai tendiamo, come adesso vedremo, a dimenticare. Siamo abituati nei nostri servizi, anche nel luogo dove io lavoro, ad attuare una presa in carico delle persone per prestazioni.
Cosa significa? Io ho nel mio cassetto delle opportunità che sono le prestazioni del servizio dove io lavoro, e la risposta che io posso dare si riduce all'erogazione di queste prestazioni uguali per tutti gli utenti, tu sei per esempio: un anziano che hai problemi di alzheimer, viene la tua famiglia, mi porta un problema, mi porta una situazione di invalidità, una difficoltà nel mantenimento a casa, e io dico per esempio: “Bene, in Lombardia in questo momento ci sono centri diurni anziani!”
Questa è la risposta che io ti posso dare, ma se questa risposta non si confà a quella famiglia, a quell'anziano, io devo dire che non essendoci prestazioni, non ci può essere presa in carico, io ritengo che questo sia gravissimo per il Servizio Sociale perché non ci permette più di pensare. Quindi, la risposta alla fine è attivabile soltanto rispetto ai servizi che sono disponibili piuttosto invece che al bisogno che viene portato dalla persona . Quindi la persona in sostanza, deve adattarsi alle risposte che io posso dargli, pensate a tutto il discorso di riflessione, di pensiero congiunto con la famiglia che viene a spegnersi.
Vediamo un po' quali sono le caratteristiche di questa presa in carico per prestazioni. Anzitutto: gli interventi sono standardizzati, cioè sono uguali per tutti, ogni tipologia: “disabili”; “anziani”; “famiglie a rischio”; “minori”; “tossicodipendenti”; hanno un certo tipo di prestazioni, e quindi la progettazione che io posso andare a modulare è orientata più alla sostituzione piuttosto che alla promozione delle risorse delle persone. Quindi la persona non ha bisogno di essere coinvolta rispetto al processo di presa in carico, perché io mi concentro più sulle sue carenze, vedo quello che manca e vedo se lo posso colmare con le mie prestazioni.
Questo testo è estratto dal nostro video-corso Fad Il servizio sociale nella postmodernità:Temi, sfide, prospettive , ha come scopo quello di informare e permette di approfondire tematiche legate al corso.
Estratto della lezione del dott.: Giuseppe TREVISI
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